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Una dieta per la salute del pianeta – Cibo e sostenibilità

Lisa Fotios at Pexels
Non ci sono dubbi sul fatto che l’alimentazione influisca in modo determinante sull’individuo: siamo il prodotto di un insieme di molecole e reazioni chimiche, quindi una variazione di queste reazioni comporta inesorabilmente anche una mutazione di noi stessi.
È molto difficile capire ciò che fa bene e ciò che è controindicato per ogni individuo e cadere nel tranello pubblicitario che associa ogni alimento a funzioni più o meno utili per la nostra salute è quanto di più sbagliato si possa fare. Il consiglio della nonna di diversificare e contenere l’alimentazione rimane, ancora oggi, la più intelligente delle strategie.
Dobbiamo d’altra parte prendere atto che il numero di individui che popolano il nostro pianeta è in fortissima espansione. Agricoltura, pesca, allevamenti rappresentano oggi una fonte non trascurabile di inquinamento che, oltre a mettere a rischio la biodiversità, costituisce la prima fonte di consumo di risorse essenziali come acqua e suolo.
A questo proposito, la rivista scientifica Lancet ha riunito trenta esperti internazionali al fine di ripensare alla radice il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo, per ottenere una dieta che sia al contempo più salutare e più sostenibile. Insomma: una dieta per la salute del pianeta (Planetary Health Diet), come la definisce il documento appena pubblicato su Lancet.
Nel documento vengono riportate indicazioni pratiche per rendere più salutare la dieta e per i paesi industrializzati si raccomanda la diminuzione drastica di alimenti come zuccheri, farine raffinate e prodotti di origine animale, prodotti che il consumismo ha trasformato da cibi delle grandi occasioni a elementi della nostra dieta quotidiana. Niente di nuovo: il report caldeggia la vecchia dieta mediterranea.
Ridurre il consumo settimanale di prodotti animali a 100 grammi per la carne rossa, 200 per la carne bianca e 1.750 grammi di latte e derivati, completando la dieta con legumi, riso, grano, mais e frutta e verdura e utilizzando per lo più grassi insaturi come l’olio di oliva extravergine, potrebbe ridurre, nei paesi industrializzati, di undici milioni i morti per malattie cardiovascolari e tumori.
Lo studio mette anche in evidenza come al mondo vi siano oltre tre miliardi di persone la cui salute è invece messa a rischio per un’alimentazione insufficiente o non adeguata.
Una vasta parte della popolazione mondiale, dunque, già oggi non ha accesso garantito all’alimentazione; se pensiamo che, come da previsioni, nel 2030 la popolazione mondiale supererà i 10 miliardi e se a questo aggiungiamo che produrre cibo inquina, dobbiamo riconoscere che un’alimentazione sostenibile diventa un obiettivo strategico imprescindibile.
Tutti i trattati internazionali dedicati alla tutela dell’ambiente hanno, fino ad oggi, concentrato i propri obiettivi sulla produzione energetica, specialmente sulle strategie di contrasto alla dipendenza da combustibili fossili, e sui trasporti; mai si sono tenuti in considerazione gli aspetti ambientali legati all’alimentazione.
Il focus dello studio dei trenta esperti si è invece concentrato proprio sulle strategie per produrre cibo senza mettere a rischio la stabilità e la resilienza dell’ecosistema terrestre, ovvero, senza superare i “limiti del pianeta”.
Per migliorare e rendere sostenibile la produzione alimentare si deve uscire dalla logica di libero mercato e di spinta al consumo, cominciando dalla lotta allo spreco: il 50% del cibo prodotto viene sprecato per le cause più disparate, che vanno dalle cattive abitudini, alla sovraproduzione a problemi infrastrutturali che rendono inutilizzabili i prodotti prima che raggiungano le nostre tavole.
Per dare seguito a quanto proposto, dobbiamo tutti, ognuno per il proprio ruolo, essere partecipi del cambiamento, per innescare un circolo virtuoso tra le abitudini alimentari dei singoli cittadini, le politiche nazionali e internazionali.
Oltre alla lotta allo spreco, il monito degli esperti indica la necessità di evitare ulteriore consumo di acqua e suolo, azzerare la perdita di biodiversità e puntare sin da subito alla de-carbonizzazione della produzione agricola (l’abbandono di tecniche e metodi produttivi basati su combustibili fossili).
Se individuare dove intervenire è semplice, molto più difficile è l’elaborazione delle modalità più efficaci: quel che è certo è che risulta necessaria una rivoluzione delle abitudini e soprattutto della politica produttiva e commerciale.
La proposta che lancia la rivista Lancet è quella di stimolare un’ampia discussione a tutti i livelli, per arrivare in tempo ad accordi internazionali sul cibo, sull’esempio di quanto avviene per il clima.
Il cambiamento dev’essere stimolato, tutelato e favorito da incentivi e da una legislazione che non lasci spazio a improvvisati e speculatori.
La prospettiva proposta dai trenta esperti è, nonostante le difficoltà e la complessità del problema, di speranza: con le opportune strategie politiche concordate a livello internazionale ed il superamento degli interessi di parte, è possibile realizzare l’accesso ad un’alimentazione sufficiente e adeguata, anche con riguardo alla qualità delle materie prime, a garantire la vita e la salute di tutti gli abitanti del pianeta.