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Le lobby che esercitano pressioni contro l’azione per il clima

In occasione della 26a Conferenza delle Parti sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite a Glasgow (COP26) il giornale legato a Greeenpeace UK, Unearthed, ha pubblicato le indiscrezioni dei portavoce delle maggiori nazioni produttrici di carbone, petrolio, carne e mangimi. Si tratta nello specifico di Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Giappone e OPEC (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio), che, secondo diversi documenti, hanno richiesto ripetutamente l’eliminazione o l’attenuazione dei toni contenuti nello studio condotto dall’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico.
L’IPCC è la massima autorità istituita dalla World Meteorological Organization (WMO) e dallo United Nations Environment Programme (UNEP) allo scopo di fornire al mondo una visione chiara e scientificamente fondata dello stato attuale delle conoscenze sui cambiamenti climatici e sui loro potenziali impatti ambientali e socio-economici. Nella COP26 è stato reso pubblico il suo studio scientifico multilaterale dove sono indicate le modalità per mitigare il cambiamento climatico e non far superare l’aumento del riscaldamento globale oltre i 1,5°.
Tra queste si trova la necessità di chiudere o riconvertire le centrali a carbone o gas entro i prossimi 10-12 anni, un provvedimento osteggiato principalmente da Arabia Saudita e OPEC, e la limitazione del consumo di carne e latticini, attaccata in maggior misura da Brasile e Argentina.
L’eliminazione delle centrali a carbone non viene considerata necessaria da Arabia Saudita e OPEC e viene spesso fatto riferimento alla possibilità di utilizzare le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) e di utilizzo e stoccaggio del carbonio (CCUS), che permetterebbero l’allontanamento dall’atmosfera delle emissioni, impiegandole successivamente nei processi industriali, e, di fatto, renderebbero opzionale la chiusura delle centrali a carbone.
Al momento però esiste solamente una centrale, Boundary Dam, in Canada, in grado di catturare solamente il 65% delle emissioni rispetto al 90% prefissato. Ciononostante, Arabia Saudita, Australia, OPEC e Giappone continuano a considerare queste tecnologie una strategia efficace per ridurre gli effetti del cambiamento climatico, ma di fatto stanno solamente ritardando la propria azione senza intaccare le proprie economie basate sui combustibili fossili e la loro produzione, che, tra Arabia Saudita e OPEC, raggiunge il 40% di tutto il petrolio mondiale.
La relazione dell’IPCC in ogni caso sottolinea che nel futuro le tecnologie di cattura di aria diretta (DAC) e CCS potrebbero avere un ruolo, ma non c’è certezza al riguardo. In ogni caso, un’eccessiva fiducia in queste vanificherebbe gli sforzi dei diversi paesi nel contenimento delle emissioni, dal momento che per catturare il carbonio è necessario produrne di più.
In altri punti della relazione dell’IPCC si discute sul ruolo degli allevamenti nel cambiamento climatico. I funzionari del governo brasiliano e argentino, entrambi paesi con forti lobby nel settore dell’agribusiness e tra i maggiori produttori di carne e mangimi come la soia, spingono per la rimozione o l’attenuamento dei messaggi che nella relazione sottolineano la necessità di diminuire il consumo di carne e latticini per combattere il riscaldamento globale.
Nel 2018 uno studio pubblicato da Science ha riportato i dati riguardanti 38.700 fattorie di 119 paesi. Si è calcolato, in base a questi, che eliminando dalle diete il consumo di prodotti animali si potrebbero ricavare 3,1 miliardi di ettari di terra e tagliare del 49% le emissioni di gas serra. I terreni, liberati dalle emissioni di gas serra da allevamento, libererebbero a loro volta 8,1 miliardi di tonnellate di diossido di carbonio dall’atmosfera all’anno in 100 anni attraverso la ricrescita della vegetazione.
Da una precedente relazione dell’IPCC sul consumo della carne negli USA si evince che in particolare la carne rossa è responsabile del 36% delle emissioni legate al cibo, pur costituendo solamente il 4% degli alimenti venduti.
Pur con questi dati, l’IPCC non intende obbligare la popolazione mondiale a cambiare la propria dieta, ma invita i rappresentanti dei singoli paesi del mondo a creare i giusti incentivi per limitare il consumo della carne. Tra le iniziative in questo senso vi sono gli inviti all’adozione di tasse sulla carne rossa o sull’internazionalizzazione del Meatless Monday, il Lunedì Senza Carne, entrambe ostacolate da Brasile e Argentina in quanto considerate basate su “concetti faziosi”.
Nonostante l’ampia letteratura sulle emissioni degli allevamenti intensivi, il Brasile, dove la deforestazione dell’Amazzonia legata all’agricoltura sta aumentando esponenzialmente con l’intervento del Presidente Jair Bolsonaro, affiliato alle lobby dell’agribusiness, ha provato a far cancellare all’IPCC dal suo studio le parti in cui si lega il consumo della carne con il riscaldamento globale. Anche il portavoce argentino sostiene che tali parti debbano venire cancellate, ritenendo che non ci siano studi comprovati che affermino che le diete vegetariane abbiano un minore impatto sull’ambiente.
La pubblicazione di Unearthed è importante per far comprendere le motivazioni delle posizioni adottate da determinati paesi in merito alle azioni per contrastare il cambiamento climatico che altrimenti rimarrebbero ignote alla popolazione. La maggior parte dei commenti al testo dell’IPCC rimane comunque positiva.
Nell’articolo originale sono contenuti ulteriori approfondimenti sulle posizioni dei paesi già citati e dell’Australia e del Giappone.