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Ecodesign: i ritardi dell’Ue costano caro ai consumatori e all’ambiente

Per raggiungere l’obiettivo del 100% degli imballaggi riutilizzabili e riciclabili entro il 2030, la Commissione europea sta discutendo l’applicazione di norme sull’ecodesign e sulle indicazioni dell’impatto energetico nelle etichette dei prodotti di uso quotidiano: con questi provvedimenti si potrebbe aumentare la loro circolarità e la loro efficienza energetica, aiutando contemporaneamente i consumatori a comprendere l’impatto dei propri acquisti. Le misure potrebbero far risparmiare ai consumatori fino a 40 miliardi di euro e ben 58 milioni di tonnellate di CO2 fino al 2030, ma la lentezza nella loro attuazione rischia di compromettere il raggiungimento degli obiettivi climatici entro il 2030.
Le politiche per l’ecodesign hanno portato, tra 1994 e 2005, ad una diminuzione considerevole delle emissioni di gas serra. Nel 2020 questi interventi hanno portato al risparmio del 10% del totale dei consumi energetici ed il 7% di tutte le emissioni di gas serra.
Queste azioni, per essere efficaci, devono venire aggiornate frequentemente per garantire che i prodotti meno sostenibili siano eliminati dal mercato. Per questo la Commissione europea pubblica un piano di lavoro ogni tre o quattro anni, sottolineando di volta in volta le priorità e le regolazioni che devono essere applicate ai nuovi gruppi di prodotti nel mercato (come smartphone e tablet).
La situazione odierna è critica perché le ultime misure adottate risalgono a ottobre 2019, prima ancora dell’inizio del mandato della Commissione von der Leyen, e finora è stato adottato solo il 25% delle misure pianificate per il Working Plan 2016-2019, che a sua volta era stato pubblicato con un ritardo di 18 mesi. A partire dal 2019 ci sono stati 15 incontri del Forum di Consultazione per discutere i progetti di testi legislativi proposti dalla Commissione, ma nessuno dei testi ha visto i passaggi successivi, ovvero la votazione formale e lo scrutinio da parte del Parlamento europeo, oltre all’attivazione delle norme.
Il piano del 2020-2024 avrà un ritardo ancora maggiore di quello precedente: lo studio preparatorio si è concluso solamente nel maggio del 2021, sforando già di 17 mesi il periodo che avrebbe dovuto coprire. La Commissione europea ha discusso ma non approvato definitivamente le norme relative a smartphone e tablet, caldaie, aspirapolvere, asciugatrici, condizionatori d’aria e ventilatori, rubinetti e soffioni per docce, mentre non ha ancora trattato di scaldabagni, computer, stampanti, console per videogiochi, pannelli solari, forni, piani cottura, cappe e impianti di refrigerazione.
Nonostante il successo degli interventi precedentemente attuati, i ritardi cronici nella loro implementazione hanno portato ad una mancata riduzione delle emissioni di gas serra e dei costi per le utenze energetiche, soprattutto quelle legate agli impianti di riscaldamento e all’elettronica di consumo, e porteranno l’Unione europea a emettere almeno 10 milioni di tonnellate di CO2 in più nel 2030 rispetto a quanto prospettato. Si tratta di una quantità pari alle emissioni annuali di 5 milioni di macchine.
La Corte dei Conti europea ha biasimato l’eccessiva lentezza del processo di regolamentazione dei prodotti e ha sollecitato la Commissione a minimizzare i ritardi evitando il cosiddetto “approccio pacchetto”: con questa modalità, anche le misure che sono pronte per essere messe in atto aspettano l’adozione per molti mesi, portando a mancati risparmi energetici ed economici e al rischio che le misure diventino obsolete.
Si è calcolato che in media, fino al 2030, le famiglie europee spenderanno fino a 110 euro in più per l’energia e pagheranno il 10% in più rispetto alle utenze aziendali, soprattutto a causa dei ritardi nella revisione delle regolamentazioni relative a scaldabagni e computer.
Per ulteriori approfondimenti in tema di sostenibilità ed economia circolare, consulta il sito del progetto Re-consumer, sostenuto da Federconsumatori!